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On Ministro

            Partendo dalle numerose e costanti lamentele che giungono dal territorio e dalla quasi totalità degli istituti penitenziari voglio nutrire la speranza che la Sua proverbiale attenzione nei confronti della Polizia Penitenziaria possa trasformarsi in qualcosa di concreto, prima che la deriva in cui versa il sistema possa portare la “nave”, con tutti i passeggeri e i marinai, ad affondare.

            I focolai di protesta per carenze strutturali, economiche e di personale sono diffusi a macchia di Leopardo in tutto il Paese e questo sembra non interessare a nessuno. Molti Direttori vivono in una realtà incomprensibile, alcuni Provveditori Regionali ignorano le grida di allarme, mentre il DAP si attorciglia su se stesso incapace di assumere il benché minimo provvedimento che dia risposte tangibili ai problemi.

 

            Le criticità, ovviamente, sono risalenti nel tempo, derivanti da una serie di questioni discendenti dalla riforma del 1975, ma anche riconducibili evidentemente ai tagli lineari perpetrati negli stanziamenti economici, alla modifica del sistema previdenziale che ha determinato il progressivo invecchiamento del personale di Polizia penitenziaria, al blocco del turn over che ha ridotto significativamente il numero delle unità in servizio e al colpo di grazia inferto dalla c.d. legge Madia che ha tagliato di circa 5.000 unità le dotazioni organiche.

            Nel contempo, però, il sovraffollamento prima e le conseguenze derivanti dalla sentenza della CEDU poi, hanno determinato l’esigenza di recuperare nuovi posti detentivi, concretizzati con l’apertura di nuovi carceri e nuovi padiglioni senza che per questo il Governo sentisse il bisogno, nonostante il proclamato stato di emergenza, di intervenire per valutare le esigenze di un settore in grave affanno.

            Le traversie vissute, affrontate quasi sempre con interventi tampone che hanno arginato in qualche misura i bisogni impellenti dell’amministrazione, sono poi sfociate nell’impiego della Polizia Penitenziaria in ogni dove a tappare tutti i “buchi” possibili e inimmaginabili.

            Prima si operava in surroga (spesso anche in aggiunta) al personale del comparto ministeri, poi siamo stati utilizzati in sostituzione del personale mancante presso le Procure, gli uffici esecuzione penale, i magistrati di sorveglianza e i tribunali di sorveglianza. Poi ancora presso i tribunali in luogo delle “guardie giurate” (con tutto il rispetto per la categoria) che controllavano varchi e accessi, e adesso si pretende che si vadano a svolgere funzioni serventi presso gli UEPE, i CGM, gli USM.

            Nel frattempo all’interno delle carceri il personale, numericamente inadeguato, si sobbarca carichi di lavoro insopportabili, è oggetto spesso di aggressioni e deve subire l’incapacità di molti dirigenti, non dico di realizzare un adeguata organizzazione del lavoro, ma anche solo di realizzare disposizioni di servizio attuali e applicabili.

            Il quadro normativo, intanto, registra un evoluzione apparentemente positiva ma in realtà, a mio avviso, assai preoccupante perché la recente delega alla modifica dell’ordinamento penitenziario, contenuta nella riforma del processo penale, interviene in un momento in cui le tensioni tra il personale e l’amministrazione sono al loro massimo storico. Un clima rovente caratterizzato da astio e risentimento nei confronti di un amministrazione insensibile e incapace di realizzare condizioni di equità, trasparenza, efficacia ed efficienza.

            Partendo dagli spunti cui facevo cenno prima, provenienti dalle carceri del Paese, non posso esimermi dal rilevare anche un preoccupante clima di oscurantismo e di censura, che si respira da un po’ di tempo a questa parte con i numerosi procedimenti disciplinari che traggono origine dai social (altro che la sanatoria da noi chiesta con la nota n.8437 del 10/2/2017), dove ormai tutti sono terrorizzati al solo pensiero di esprimere un parere o un semplice “mi piace” ad un post, in quanto ci sono alcuni Comandanti di Reparto, disinteressati con l’utenza ma intransigenti con il personale fino al punto di passare il loro tempo a visitare i social alla ricerca di personale da perseguire disciplinarmente.

Non da meno si comporta l’amministrazione centrale quando, dopo anni e anni di trasparenza, improvvisamente impedisce alle OO.SS. di pubblicizzare e pubblicare le foto realizzate in occasione delle visite all’interno degli istituti che rappresentano solo e soltanto le condizioni di lavoro cui è costretta la Polizia Penitenziaria, o quando adotta provvedimenti di mobilità del personale senza fornire la prevista e dovuta informazione alle OO.SS.

Da una parte abbiamo un indirizzo politico “garantista” nei confronti degli ospiti, dall’altra un’amministrazione che calpesta la dignità professionale di uomini e donne della Polizia Penitenziaria, che non rispetta le loro esigenze e le loro aspettative adottando provvedimenti incoerenti, incomprensibili, contorti e iniqui.

Un amministrazione garantista oltre modo con i delinquenti, autoritaria con i propri dipendenti, incapace di realizzare le condizioni per prevenire e limitare le frequenti aggressioni che si registrano in danno della Polizia Penitenziaria all’interno delle carceri, inidonea nell’adozione di provvedimenti esemplari nei confronti dei responsabili, direi addirittura incapace di garantire l’art.27 della costituzione.

Affermazione quest’ultima apparentemente esagerata ma che dovrebbe, invece, generare una profonda riflessione perché non si garantisce certo una pena che tende alla rieducazione se ai nostri utenti si permette di violare sistematicamente le regole del sistema che li ospita. Se uno non rispetta le regole della civile convivenza all’interno di un carcere, se usa la forza per far valere le proprie ragioni e se lo fa addirittura contro chi, come la Polizia penitenziaria, rappresenta lo Stato significa che il sistema, oggi, non è in grado di assolvere alla propria funzione e se non lo è i primi responsabili sono certamente i suoi vertici che forse hanno dato ampia prova di manifesta incapacità.

Ma siccome siamo in Italia, un Paese dove nessuno si assume le sue responsabilità, sarebbe forse il caso che sia il potere politico a rendersi conto che è necessaria una svolta rapida, concreta e non teorica come quella che si registra ormai da anni. Riduzione delle risorse economiche, riduzione delle risorse umane, apertura di nuovi carceri e nuovi padiglioni, nuove competenze imporrebbero un management che sappia dare risposte al Paese, al potere politico e ai propri dipendenti.

Il sistema ha bisogno di trovare rapidamente un adeguata organizzazione, il rispetto delle persone, il rispetto dei diritti e della dignità professionale. Un benessere organizzativo utile a creare condizioni di serenità propedeutiche ad affrontare le nuove sfide che ci attendono.

Nella speranza che queste mie riflessioni possano generare adeguate riflessioni colgo l’occasione per porgere cordiali saluti. F.to: Il Segretario Generale Angelo Urso

Nota n. 8535

Comunicato stampa

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