In carcere in arrivo le "casette dell'amore"
Un disegno di legge del Senato, quello delle “casette dell amore” negli istituti di detenzione. Immedita la reazione dei sindacati della Polizia Penitenziaria
Archivio attuale e storico di articoli di quotidiani, settimanili e giornali vari, in cui è citata la UILPA Penitenziari
Un disegno di legge del Senato, quello delle “casette dell amore” negli istituti di detenzione. Immedita la reazione dei sindacati della Polizia Penitenziaria
Roma, 22 mag. – “La possibile costruzione di ‘casette dell’amore’ in carcere per consentire ai detenuti di trascorrere con i rispettivi congiunti fino a ventiquattr’ore d’intimità, una volta al mese, sta catalizzando il dibattito fra gli addetti ai lavori e alcuni esponenti politici. Tra favorevoli e contrari, come al solito, sembra ci si soffermi particolarmente sugli aspetti più ‘piccanti’ della questione. A noi, al di là delle scelte etiche e politiche connesse alle finalità della pena e alle modalità della sua esecuzione, che competono al Parlamento, nell’alveo dell’articolo 27 della Costituzione, quel che preoccupa di più non è tanto l’affettività, quanto l’ampliamento dei permessi e delle telefonate”.
Lo dichiara Gennarino De Fazio, Segretario Generale della UILPA Polizia Penitenziaria.
“Sull’affettività in carcere si possono avere sensibilità diverse e pensarla in modo differente; tuttavia, considerato che si garantirebbe in plessi dedicati senza il controllo della Polizia penitenziaria, l’impatto sul carico di lavoro sarebbe marginale. Le proposte di modifica legislativa, però, mirano anche all’ampliamento della possibilità di fruire dei permessi di necessità, che quasi sempre si effettuano con accompagnamento e scorta della Polizia penitenziaria, nonché all’aumento del numero delle telefonate, da una alla settimana a una al giorno, e della loro durata, da 10 a 20 minuti. Sempre astenendoci dal formulare valutazioni di natura morale, tutto questo sarebbe devastante per il sistema carcerario, già allo sbando e in stato comatoso” – spiega il Segretario della UILPA PP.
“Non deve sfuggire, infatti, che i contatti telefonici fra detenuti e congiunti sono stabiliti dalla Polizia penitenziaria dopo una complessa istruttoria, che talvolta le conversazioni devono essere registrate per disposizione dell’autorità giudiziaria, che gli operatori del Corpo devono vigilare sulla loro durata e devono correttamente imputarne i costi. Tutto ciò è impensabile nella situazione attuale, con gli organici della Polizia penitenziaria mancanti di 18mila unità. Sempreché, ovviamente, non si pensi di autorizzare i detenuti a detenere liberamente telefoni cellulari di proprietà” – argomenta con una punta di sarcasmo De Fazio.
“Per noi, non si può continuare a intervenire sull’esecuzione penale e sul sistema carcerario in maniera parcellizzata e con provvedimenti limitati che, la storia lo insegna, creano molti più problemi di quanti non ne risolvano, ma occorre una riforma complessiva che ne reingegnerizzi l’architettura, rifondi il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e riorganizzi il Corpo di polizia penitenziaria. Invitiamo nuovamente, pertanto, la politica e, soprattutto, la Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ad aprire finalmente un confronto compiuto e serrato” – conclude il sindacalista.
Comunicato stampa del 13 maggio 2022 - Carceri: La Polizia penitenziaria si autotassa contro le aggressioni
Roma, 13 mag. – “Gli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria, attraverso accordi sindacali nelle carceri, stanno destinando parte della retribuzione ai colleghi che hanno subito aggressioni gravi da parte dei detenuti. Un’iniziativa a forte contenuto solidaristico, ma anche una vibrante protesta che mette a nudo l’ipocrisia del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, del Ministero della Giustizia e dei Governi, non solo quello attualmente in carica, che al di là di ogni dichiarazione di facciata non riescono ad arginare la spirale di violenza che imperversa nelle prigioni”.
Lo afferma Gennarino De Fazio, Segretario Generale della UILPA Polizia Penitenziaria.
"In questi giorni, in ogni sede carceraria si stanno sottoscrivendo accordi per destinare una parte della retribuzione a remunerare l’impiego in servizi che comportino particolari responsabilità, disagio e rischio. In molte realtà si sta decidendo di devolvere una quota delle risorse stanziate in favore degli appartenenti alla Polizia penitenziaria che hanno subito aggressioni ad opera dei detenuti, le quali oltre al nocumento fisico, psichico e morale, spesso implicano pure ripercussioni economiche connesse alle cure, alla necessità di protesi e a danni materiali” – spiega il Segretario della UILPA Polizia Penitenziaria.
“A fronte di uno Stato del tutto inerme e inerte su questi temi, la Polizia penitenziaria si rimbocca le maniche e protesta nel modo che sa fare meglio: mettendo in campo la solidarietà. Ma è evidente che non è né può essere questa la soluzione a un problema devastante e rispetto al quale il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha secretato i dati per non certificare la vulnerabilità del sistema, peraltro sotto gli occhi di chiunque. Vanno rivisti il modello detentivo e l’organizzazione complessiva, va risolta la questione connessa ai detenuti affetti da patologie mentali, è indifferibile l’adeguamento degli organici del Corpo, mancanti di 18mila unità, è necessario implementare le tecnologie e gli equipaggiamenti. Allo stesso modo dev’essere introdotta un’aggravante al reato di lesioni personali, quando recate alle donne e agli uomini della Polizia penitenziaria nell’esercizio delle loro funzioni” – aggiunge De Fazio.
“Una proposta di questo tipo, peraltro, venne da noi avanzata già per l’anno 2014, quando le aggressioni, seppur già tantissime, non erano agli attuali livelli di gravità. All’epoca e negli anni successivi l’iniziativa non trovò risposte compiute, stante anche l’opposizione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che evidentemente già da allora cercava di oscurare il problema. Speriamo che l’iniziativa di questi giorni, partita direttamente dalle ‘trincee’ penitenziarie, serva a scuotere le coscienze, in primis, della Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, e del Capo del DAP, Carlo Renoldi, di cui a quasi due mesi dall’insediamento non si ha notizia di particolari iniziative su alcun fronte, nonostante le urgenze” – conclude il Sindacalista.
In cella circolano armi, telefonini e stupefacenti. I detenuti girano per i corridoi e ogni giorno si contano aggressioni agli agenti della penitenziaria. I sindacati accusano: “Questo carcere non rieduca”. Ma la ministra Cartabia non ha fatto nulla. E il Covid ha peggiorato le cose.
Le carceri italiane come palestre del crimine: questo è ciò che pensa Gennarino De Fazio, Segretario generale del sindacato Uilpa della Polizia penitenziaria, dovendo tracciare un quadro della situazione negli istituti penitenziari italiani. Un’immagine sconfortante i cui problemi vanno ricercati prima di tutto nel sovraffollamento e nell’endemica mancanza di personale. La stessa ministra della Giustizia Marta Cartabia ha specificato che «su 50.832 posti regolamentari, di cui 47.418 effettivi, i detenuti sono 54.329». Una percentuale di sovraffollamento che arriva al 114 per cento e che «esaspera i rapporti tra detenuti». Un problema che rende molto più difficile il lavoro degli operatori a partire da quello della polizia penitenziaria, troppo spesso vittima di aggressioni. Nonostante questo, i numeri dei detenuti continuano ad aumentare e all’orizzonte non ci sono concrete soluzioni alternative al sistema vigente.
Il carcere può avere una funzione educativa o riabilitativa?
«Assolutamente no, neanche si avvicina a un qualcosa del genere, neanche ha la tendenza a rispondere all’art. 27 del dettato costituzionale rispetto alla finalità della pena. Tutto ciò, facendo salve pochissime eccezioni che non fanno altro che confermare la regola. Che poi serva come contenitore del disagio e come una discarica attraverso la quale si allontanano dalla società determinati tipi di elementi che possono essere tossicodipendenti, malati mentali, quello è un altro discorso, ma è qualcosa di diverso rispetto a quello che vorrebbe la Costituzione. Le carceri oggi sono la palestra del crimine, nel senso che specialmente dopo la condanna della Cedu all’Italia di qualche anno fa per trattamento inumano e degradante dovuto al sovraffollamento (che si sta ripresentando) per aggirare l’ostacolo si è fatto ricorso a un modello carcerario denominato sorveglianza dinamica, che però è stato pensato in un modo ma attuato in un altro. Quella che doveva essere una sorveglianza organizzata in un certo modo, anche mediante il ripensamento dell’organizzazione strutturale degli edifici e anche attraverso implementazione di nuove tecnologie, si è tradotta di fatto in un’apertura indiscriminata delle celle, cui ha fatto da contraltare una riduzione dell’organico della Polizia penitenziaria dovuta anche ai tagli della legge Madia. Per cui, di fatto, sono state aperte le celle dei detenuti indiscriminatamente, al di là di una vera selezione, senza una vera attività che li impegnasse nel tempo libero, senza alcuna sorveglianza. Questo ha prodotto dei traffici interni di sostanze stupefacenti, telefonini e armi, come abbiamo visto con la sparatoria di Frosinone. L’attuale procuratore antimafia Melillo dichiarò tempo fa in Commissione Antimafia che per quanti telefonini circolano nelle carceri neanche si procede più col sequestro. Questo è il quadro. Un sistema di questo tipo non può rieducare».
La riforma della Giustizia può cambiare qualcosa?
«La riforma pensata dalla ministra Cartabia non incide in alcun modo sulle carceri, né direttamente né indirettamente. Con il venir meno della “prescrizione” non può che aumentare il sovraffollamento. Il Pnrr prevede solo 8 nuovi padiglioni, praticamente nulla, specie in una situazione di deficit organico di 18mila unità. Al corpo di Polizia penitenziaria, infatti, secondo uno studio fatto dall’amministrazione penitenziaria, rispetto all’organico presente oggi di 36mila unità, ne servirebbero ancora 18mila. Nell’ultima legge di Bilancio la ministra Cartabia ha dichiarato al question time che sono previste per tutte le forze di Polizia (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di finanza, Polizia penitenziaria) 2.300 assunzioni spalmate in 10 anni, cioè fino al 2032. Di cosa stiamo parlando? Significa 50 assunzioni per corpo di polizia. Oltre che aprire i padiglioni si dovrebbe dire cosa si vuole fare lì dentro e con quale organico».
L’espressione “palestra del crimine” in che modo si evidenzia nella giornata tipo del detenuto e del poliziotto?
«Non c’è una distinzione all’interno di quelli che dovrebbero essere i circuiti penitenziari richiamati dall’ordinamento, vi è un’assegnazione del tutto promiscua dei detenuti: nell’ambito di alta sicurezza, media sicurezza, 41 bis si trovano indiscriminatamente il delinquente, il tossicodipendente, il malato di mente, quello condannato con sentenza definitiva. Questo genera anche il proselitismo. La giornata tipo si svolge in questo modo: le celle dei detenuti vengono aperte a una certa ora, diciamo intorno alle 9 e poi vengono richiuse la sera, in tutto questo periodo o vanno a passeggio, o stazionano nelle sezioni aperte con scarsa sorveglianza, con una unità di polizia penitenziaria che deve controllare a volte centinaia di persone, spesso anche su piani diversi. Questa è la giornata tipo per il detenuto e di rimando per il poliziotto che spesso viene fatto oggetto di aggressione dai detenuti. Le aggressioni gravi sono 3 al giorno. Come sindacato abbiamo avviato una procedura di accesso civico per conoscere quante fossero state le aggressioni ad opera dei detenuti nel corso del 2021. Quante fossero state le sostanze stupefacenti sequestrate e quanti telefonini, armi. Rispondendo a questa procedura è stato detto che questi dati non possono essere forniti per motivi di sicurezza pubblica, perché potrebbero favorire rivolte da parte dei detenuti. Ossia, da quei dati emerge evidentemente una vulnerabilità del sistema e certificarla significherebbe far comprendere ai detenuti che possono fare come vogliono perché il sistema non è in grado di arginarli. Ma le aggressioni alla Polizia penitenziaria sono infortuni sul lavoro, non possono essere secretati».
Il caso di S.M. Capua Vetere è uno di quelli che resta nella storia. Di recente c’è stato il rinvio a giudizio di 107 persone. Come analizzate la situazione?
«Da subito abbiamo detto che quello che è avvenuto è gravissimo e che chi ha sbagliato deve pagare, ma riteniamo che non sia un problema di mele marce ma di un sistema che non funziona. E non è più un caso isolato, su tutto il territorio italiano abbiamo diversi procedimenti penali che ipotizzano il reato di tortura: Torino, San Gimignano, Firenze, Monza. Per cui è evidente che c’è un sistema patologico. S.M.C.V. non nasce per caso, se si continua a non arginare le aggressioni ai danni degli agenti, se si continua a non arginare i traffici di droga, di armi, di telefoni interni alle carceri si alimenta un sistema che genera violenza, da una parte e dall’altra. E alla fine ci può essere la reazione inconsulta che non può essere giustificata in nessuno modo, ma che va messa in conto. È evidente che a S.M.C.V. sono successe molte cose tutte insieme che evidenziano l’inefficienza organizzativa. Si è parlato di linea di comando che non funziona, ma io chiedo qual è la linea di comando. A me pare che ognuno si alza e fa come vuole».
Sembra che non si voglia fermare questa escalation e che la Polizia penitenziaria covi disagio.
«Dal suo insediamento, non c’è un solo atto della ministra Cartabia che afferisca al carcere. Il sottosegretario Sisto parla sempre di interventi mirati, non ne abbiamo visto uno. Intanto ci sono delle indagini in corso per cui si ipotizza che in passato i concorsi stessi per l’assunzione di personale siano stati inquinati per assumere unità indicate dalla criminalità organizzata. Si continua a lavorare senza programmazione ma in emergenza, si è rinunciato a fare formazione, né aggiornamenti professionali. I poliziotti vengono abbandonati a loro stessi. Da un lato ci sono le regole, dall’altro c’è l’organizzazione penitenziaria che le calpesta metodicamente. Abbiamo agenti appena assunti nelle scuole ai quali spieghiamo che ci sono delle regole come la divisa, poi però non gliela si dà».
Quanto guadagna un agente di Polizia penitenziaria?
«Lo stipendio di un agente appena assunto si aggira sui 1.500 euro per 36 ore settimanali».
Il Covid quanto ha peggiorato la situazione?
«Ha inciso tantissimo, lo dimostrano le rivolte nei vari istituti nel marzo del 2020 con 13 morti. Certamente l’aver reso più difficoltose le attività che davano comunque risposta all’esigenza di impegnare il tempo dei detenuti ha peggiorato la situazione, si è registrato un aumento oltre che dei suicidi anche delle malattie di ordine psichiatrico. Sia a carico dei detenuti che del personale. Si teme che la situazione in autunno possa di nuovo precipitare».
Fonte: https://www.tpi.it/cronaca/carceri-palestre-crimine-sindacato-polizia-penitenziaria-20220512898932/
Comunicato stampa - Roma, 08 mag. – “Oggi si celebra la Festa della Mamma, ma i diritti delle mamme appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria continuano a essere compressi e non di rado addirittura negati, alla stregua del più generale diritto di famiglia. Pari opportunità solo declamate, con le donne discriminate nelle assunzioni, nell’impiego in servizio, nelle progressioni di carriera e nella conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”.
Lo dichiara Gennarino De Fazio, Segretario Generale della UILPA Polizia Penitenziaria.
“Continuano a essere seguite pratiche assunzionali che legano strettamente il numero delle donne della Polizia penitenziaria a quello delle donne detenute, come se nella poliedricità dei compiti istituzionali del Corpo vi fosse solo la sorveglianza nelle sezioni detentive. Ma pure ingenti quantitativi di lavoro straordinario programmato e sottopagato per far fronte a ordinarie esigenze di servizio, connesse a organici mancanti di 18mila unità, prassi gestionali che non tengono sufficientemente conto di specifici istituti normativi e contrattuali a tutela della genitorialità e molto altro ancora" – spiega il Segretario della UILPA PP.
“Il prossimo giorno 16, solo per fare un esempio di stretta attualità, prenderà il via il VII corso di formazione per Vice Ispettori del Corpo di polizia penitenziaria, in esito a una procedura concorsuale interna, e nonostante una precisa previsione contrattuale introdotta sin dal lontano 1999, si sta incomprensibilmente impedendo a poliziotte madri di bambini fino a 12 anni d’età di frequentare le attività didattiche presso la scuola più vicina al luogo di residenza. Stesso problema, peraltro, investe pure i genitori uomini” – aggiunge De Fazio.
“Di ciò abbiamo interessato direttamente il neo Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Carlo Renoldi, anche con una nota indirizzatagli la settimana scorsa, ma in relazione alla quale non abbiamo ancora ottenuto alcun riscontro. Tutto ciò, per di più, proprio mentre il Parlamento ha varato la legge n. 32 del 7 aprile, recante ‘Deleghe al Governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia’. Nel rivolgere, dunque, il nostro augurio a tutte le Mamme, ci appelliamo ancora una volta alla sensibilità del Capo del DAP, ma anche a quella della Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, affinché non si consumi un ennesimo scempio ai danni delle donne e degli uomini della polizia penitenziaria” – conclude.