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Qualche agente penitenziario di grande esperienza il sospetto lo aveva avuto da subito. Quando aveva visto, a fine febbraio, il video che ritraeva il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ammirare estasiato il progetto che avrebbe portato all’installazione di container prefabbricati nel cortile del carcere di San Vito al Tagliamento, per ampliare la struttura, e definirlo “un modello da sogno”, in chat con alcuni colleghi aveva insinuato: “Ma non è che vogliono fare come con l’Albania?”. Detto fatto. Il piano carceri di Nordio, vergato dal commissario all’edilizia Marco Doglio su sollecitazione della premier Giorgia Meloni, sembra una sorta di remake edilizio dei centri per migranti in Albania.

Il bando è stato pubblicato qualche giorno fa e scadrà il 10 aprile. Prevede la realizzazione di 384 nuovi posti per detenuti entro il 2025. Sono tanti? Neanche per idea, a guardare il livello di sovraffollamento carcerario. Dati del ministero alla mano, in questo momento in carcere ci sono 62.165 detenuti, per una capienza di 51.323 posti. Circa 11mila detenuti in più dunque. Questo piano carceri garantirà un letto ad appena il 3,5% di questi. E la situazione, in tempi in cui la creazione di nuovi reati è ormai un meccanismo rodato, potrebbe peggiorare. Le informazioni dal territorio, infatti, lasciano immaginare che il sovraffollamento aumenterà. Un dato per tutti? Nelle ultime settimane sono stati tanti i giorni in cui, nel carcere milanese di San Vittore, sono stati registrati 30 ingressi quotidiani. Una cifra enorme. Raramente vista prima.

Ma entriamo nel merito del progetto, per il quale sono stati stanziati 32 milioni di euro. L’idea, scritta nero su bianco in otto pagine firmate dal responsabile dei servizi di ingegneria di Invitalia Enrico Fusco, è quella di ampliare nove istituti attraverso dei “blocchi detenzione”, “trasportabili e smontabili”. Nei cortili dei penitenziari di Milano, Alba, Biella, Reggio Emilia, L’Aquila, Voghera, Frosinone, Palmi e Agrigento saranno installati dei prefabbricati in calcestruzzo: ognuno di questi potrà contenere ventiquattro posti letto, divisi in sei celle. Quindi, in una cella di sei metri per cinque (bagno compreso) dovranno abitare 4 persone. I letti dovrebbero essere singoli, non a castello, e fissati al pavimento. Bandite le sedie dalla cella, dove ci sarà “un tavolo monoblocco in metallo con 4 sgabelli incorporati, da edilizia penitenziaria, assemblato per resistere a tentativi di scardinamento e predisposto per fissaggio a pavimento con tasselli a bloccaggio chimico o meccanico”. Inamovibile, insomma. In ogni cella ci sarà un bagno, che sarà sorvegliabile attraverso uno spioncino “lato corridoio”. Per ripararsi dal freddo e dal caldo - che nelle strutture prefabbricate possono essere amplificati - uno “split” per l’aria condizionata. Quest’ultima notizia sarà accolta con discreto favore, perché spesso le celle sono troppo calde d’estate e troppo fredde d’inverno. Previsti, poi, alcuni spazi ricreativi: una biblioteca, una saletta per la socialità, una barberia. Tutte in spazi angusti, che vanno in senso opposto rispetto a quanto - ormai da anni - predicano i pochi architetti che si occupano di carceri.

Gli addetti ai lavori - costretti a fronteggiare, anche quest’anno un altissimo numero di suicidi in cella - sono scontenti per questa soluzione di fortuna, che ignora decenni di studi sull’architettura carceraria. E gli agenti penitenziari mostrano più di qualche perplessità: “Siamo passati dalla commissione per l'architettura penitenziaria ai prefabbricati in stile container che, se si conseguiranno, produrranno in un anno i posti in più occupati dai nuovi ingressi di detenuti in un mese”, ragiona con HuffPost Gennarino De Fazio. “Ma poi, Nordio non sostiene che tra la riforma alla custodia cautelare e le misure di comunità potrebbero uscire dal circuito carcerario 20mila detenuti? Così Nordio dimostra di non credere né alla riduzione dei detenuti né alla costruzione di nuove carceri" ”. La promessa del ministero è di crearne migliaia di posti nei prossimi anni, fino ad arrivare a 7mila. E visto che il modello caserma - la ristrutturazione di caserme dismesse - si è rivelato non fattibile, la direzione pare quella del modello Albania. Anche questa, però, non potrà che essere un pannicello caldo, quasi impercettibile, che non risolve i problemi di un settore così travagliato.

 

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